750 grammes
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21 settembre 2011 3 21 /09 /settembre /2011 12:26

suz1

Questo non è un blog scientifico, e voi che mi leggete lo sapete bene, se mi permetto di parlare di un aspetto su cui non vanto nessuna competenza è solo per informarvi di un problema che potrebbe tradursi (sottolineo la parola potrebbe) in uno dei più gravi problemi che gli amici viticoltori si troveranno a vivere dopo la filossera, e su cui sta gravando un silenzio ingiustificato al di fuori dei canali scientifici..

Sia ben chiaro che non si deve fare allarmismo oltre il dovuto: pertanto leggete a cuor leggero quanto scrivo, ma già leggere a cuor leggero significa comunque sapere!   

 

La Drosophila Suzukii, conosciuta anche come moscerino dei piccoli frutti, è un parassita polifago che attacca le specie frutticole. Il suo nome lo si deve allo scopritore, il dottor Matsumara Suzuky, che ne descrisse la specie nel 1931.

Originario del sud-est Asiatico il parassita si è propagato solo nel 2007-2008 nel nord America (ma in compenso i notevoli danni causati e la velocità di diffusione hanno messo in grande allerta i coltivatori) mentre in Europa ne è stato riscontrata la presenza per la prima volta nel 2009, e nel 2010 si è potuto assistere ai primi veri attacchi in massa sui piccoli frutti e su drupacee (lamponi more, mirtilli, ciliegie, ecc.)

La particolarità che differenzia quest'insetto dalla più comune ed innocua Drosophila Melanogaster è l'ovodepositore dentato di cui la femmina è dotata!

Mentre la Drosophila Melanogaster, animale che si può definire parassita passivo perché si limita nell'infestare solo la frutta caduta, in fase di decomposizione o danneggiata da altri agenti (ad esempio grandine) la femmina del Drosophila Suzukii può perforare (grazie all'ovodepositore dentato) l'epidermide della frutta in fase di maturazione, e depositare  le uova all'interno del frutto. Oltre al danno provocato dall'alimentazione larvale vi è il taglio provocato dall'ovodepositore che espone il frutto ad infezione batteriche e fungine.

Il problema nei frutti rossi è già serio, ma sembrava essere inesistente in viticultura, ma purtroppo così non è: già l'anno scorso si sono registrati attacchi sporadici e limitatissimi sulla vite, ma quest'anno le prime aggressioni di massa hanno fatto comparsa tanto in Trentino ed in alto Adige quanto in Veneto, ma sono certo che anche in altre regioni si comincia a riscontrare la presenza di tale parassita. suz2

Anzi, è parassita talmente “estraneo” a noi che moltissimi viticoltori ne stanno verificando i danni senza sapere a cosa questi siano dovuti!

Io stesso, come scritto ieri, ho avuto modo di vedere dell’uva aggredita (in cui erano state depositate delle uova) e solo grazie alla descrizioni di quanto visto a due carissimi amici (e bravissimi produttori, nonchè sagaci interpreti di quanto loro  descritto) Andrea Miotto e Mario Pojer, ho potuto apprendere cosa mi ero ritrovato a vedere.

Per farvi comprendere la possibile gravità che potrebbe comportare la diffusione di quest’insetto vi bastino due dati: in campo frutta si sono registrati attacchi che hanno comportato la perdita dell'80% dell'intero raccolto o in taluni casi la perdita totale, e sapere che tale insetto ha una capacita  riproduttiva di 10-13 generazioni all’anno, con la deposizioni di 400 uova per singola femmina. (la quale deposita 2-3 uova per singolo frutto).

Capirete che velocità di propagazione e numero di frutti aggrediti possono dare risultanze spaventose, inoltre sembra alquanto complicato, in forza di quei 13 cicli riproduttivi prima scritti, adottare un’efficace soluzione a base insetticidi, così come danno risultati insignificanti trappole ed altro. 

Non essendo competente in materia non ho idea di quale sarà la soluzione che verrà adottata, ma di sicuro una certezza vi è: serve l'intervento, il supporto e l'assistenza di tutti gli enti preposti: questa potrebbe essere (e come prima sottolineo la parola potrebbe) una sfida troppo grande per lasciare soli i nostri amici viticoltori, almeno questa volta non è pensabile se la sbrighino da soli!

Io posso solo informare, nella capacità che questo blog può avere, ed esprimere la mia solidarietà più totale.

 

AC

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9 marzo 2011 3 09 /03 /marzo /2011 13:43

diserbo

Fitofarmaci e vigneti: se ne è parla (se ne è parlato) troppo spesso e spesso a sproposito, per meglio dire parlano troppo persone che non vantano sufficiente preparazione in materia, oppure sono nettamente schierate verso una precisa posizione. (sia quando gli interventi sono pro utilizzo sia quando sono contro)
Però, visto che questo è un blog che parla di vino (dove io mi limito nel giudicare ciò che trovo nel bicchiere, mentre per quanto concerne il resto mi limito a semplici considerazioni personali), l'argomento è impossibile da non affrontare, e voglio affrontarlo seguendo precise regole: l'imparzialità! Se un produttore utilizza, nell'ambito di quella che viene definita coltivazione convenzionale (che brutto termine), prodotti autorizzati dagli organi competenti e si attiene ai dosaggi prescritti ed alle regole dettate dal buon senso nell'irrorazione, nessuna critica posso o voglio muovergli, in contrapposizione se un produttore biologico o biodinamico utilizza metodologie che potrei ritenere al limite dell'esoterico nulla posso dire se queste non mi arrecano disturbo o implicano cose più gravi dell'aspergere prodotti chimici.(cosa un po' difficile...)
In altre parole cerco e cercherò di essere spettatore nella più completa oggettività, ed in ossequio a tale oggettività non posso esimermi dal pubblicare in primo piano la risposta fornita da Andrea, attento lettore e tecnico preparato, al cumulo di sciocchezze cui vi riferivo l'altro giorno in questo post  qui e che si rifaceva alla pubblicazione più inutile e delirante dell'anno! (questa
Da Andrea:
Ho letto l' articolo linkato, secondo me un misto di livore, ignoranza, malafede!
Premetto che il fatto che tutti possano accedere ai dati sui quantitativi di fitofarmaci utilizzati , significa principalmente due cose : 1° che non c'è nulla da nascondere, 2° che il loro utilizzo viene costantemente censito e monitorato .
Cominciamo dalla situazione dei principi attivi.
Mancozeb,antiperonosporico, non è stato messo al bando, ma ne è stata limitata la vendita e l'uso ai titolari di “patentino”, in attesa che si possa sostituire con prodotti meno tossici (nessuno nega la pericolosità del Mancozeb)
Glifosate, diserbante ad azione disseccante, in commercio da molti anni, ha passato severissimi esami a livello europeo e mondiale ed è indicato come uno degli erbicidi meno pericolosi. Viene impiegato anche per usi civili (cortili, strade, piazzali, cimiteri, etc.)
Glufosinate ammonio, disseccante, rimane “sospeso” fino alla conclusione degli studi, la ditta produttrice ne ha organizzato il ritiro presso i rivenditori .
Clorpirfos (etile) è tuttora in commercio è un insetticida da diversi anni sul mercato, ha superato svariati esami di tossicità .
Chi pensa di boicottare il Prosecco per l' uso di fitofarmaci che ne fanno i produttori, “forse” non conosce alcuni aspetti: le aziende sono obbligate a tenere un registro dei trattamenti .
Per l' uso dei prodotti più pericolosi (vedi mancozeb) è richiesto un patentino che si ottiene dopo un corso ed al superamento di un esame regionale, che va ripetuto ogni 5 anni .
Gli atomizzatori sono sottoposti a revisione obbligatoria .
Nessuno tratta “per piacere” dato il costo economico e di fatica che comporta ogni singolo trattamento .
La lotta biologica alla peronospora prevede l' utilizzo di rame, che a detta di molti sarà uno dei prossimi principi attivi che passeranno “a patentino”.
I test di efficacia dei prodotti per la difesa della vite, registrano sempre nel testimone non trattato, la perdita del 100 % del prodotto. Quindi, se i viticoltori non trattassero, non servirebbe boicottare il prosecco perché semplicemente non ve ne sarebbe...
Infine che i vigneti siano stati realizzati “a ridosso” delle abitazioni ,è la più grande str...zata che ho letto: nella città metropolitana pedemontana, dove viviamo, è vero semmai l' esatto contrario: lottizzazioni assurde, case di “campagna”, trasformazioni di rustici unite a zone industriali, artigianali, commerciali, strade superstrade e rotonde, stanno spingendo sempre di più l' agricoltura in una sorta di “riserva indiana”.
Brindiamo al generale Custer.

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12 maggio 2010 3 12 /05 /maggio /2010 12:00

gianni-zonin

Ieri ho letto un articolo on-line de Il Giornale di Vicenza (che voi potete leggere qui) dal titolo "Prosecco, occhio ai prezzi": l'articolo riprende le conclusioni scaturite dal convegno "Lo stato del Vino" organizzato a Roma dal Gambero Rosso, dove è stato sottolineato come la caduta dei prezzi delle uve si riversi proporzionalmente in una discesa del valore del prodotto finito: la bottiglia!
Contrariamente infatti a quanto il consumatore medio è portato a credere il calo del prezzo delle uve all'origine non aumenta la marginalità del vinificatore perchè la discesa del valore del prodotto finito è pari (quando non superiore) al risparmio avuto all'atto dell'acquisto delle uve. 
Su questo punto è intervenuto il presidente della Zonin, il Cav. Gianni Zonin, personaggio talmente noto che ritengo superfluo presentare.
Zonin dichiara: "Se non mettiamo a posto l'equilibrio tra produzione e consumo non avremo mai l'equilibrio dei prezzi ed è un problema che riguarda non solo il mondo del vino ma tutti gli agricoltori italiani e, forse, anche quelli mondiali".
Non è una questione di qualità della produzione, è soprattutto un problema di ordine commerciale. «Faccio l'esempio del Prosecco: è un vitigno che sta conoscendo un grande apprezzamento in tutto il mondo ma, se non stiamo attenti, tra poco andremo in sovrapproduzione e avremo un crollo dei prezzi».
Premessa la soluzione che Zonin indica, priva di ogni novità essendo la classica richiesta d'aiuto ("si possono controllare alcune oscillazioni con aiuti per lo stoccaggio...") mi sovviene la classica domanda alla Antonio Lubrano, quella che sorge spontanea: Presidente Zonin, ma a chi si deve questa sovrapproduzione di uva Glera?
Ai viticoltori del Valdobbiadenese? Ai produttori di Conegliano? Forse a quelli della DOCG Asolo-Montebelluna? Oppure a qualche grosso gruppo (tipo il suo) che negli ultimi anni ha impiantato centinaia di ettari a Prosecco (a me il nome Glera fa schifo, porti pazienza) per sfruttare il momento commerciale destato da questo vino?
La mia è una domanda magari cattiva, ma rispettosa: io ammiro le persone come lei che riescono, vincono e convincono, quindi ho una epidermica simpatia tanto per la sua persona quanto per la sua azienda, ma non può recriminare su cose di cui anche lei è causa!
La sua azienda ha sempre inseguito "il vino del momento": alcuni anni fa andavano di moda i vini bianchi Friulani ed allora voi, viticoltori in Gambellara, comperate (o create, non ricordo) Cà Bolani, poi è il turno dei vini Toscani, ed allora Abbazia Monte Oliveto, Castello d'Albola ecc, arriva la riscossa dei vini meridionali (?) e quindi si va in Sicilia con Principi di Butera ed in Puglia con Masseria d'Altamura, adesso è il turno del tanto (fino a ieri) snobbato Prosecco...., insomma a ben vedere chi provoca la sovrapproduzione? Chi già c'era o chi arriva in seconda battuta con potenzialità d'acquisto?
Ad esempio io mi chiedo quanti ettari le sue aziende hanno piantumato a Prosecco negli ultimi tre anni!
Voci di corridoi dicono tanti, tantissimi.
Quando suo figlio Francesco pubblicizza "il mio Prosecco" lo fa proponendo un vino DOCG ottenuto da uve Valdobbiadene-Conegliano (zona vitata da sempre) o Asolo-Montebelluna oppure è un semplice DOC (sino a ieri IGT)?
Rispondo io per gli altri lettori: è un Prosecco che esce a marchio Cà Bolani, Cervignano del Friuli (Udine!) quindi terreni che, scommetto 1000 euro, dieci anni fa non erano certo coltivati a Prosecco.
Ed allora chi è che provoca la sovrapproduzione?
Nel mio piccolo suggerirei un po' più di coerenza, sempre che la sua risposta non mi convinca d'essere dalla parte del torto!
Cordialmente.
 
AC
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10 maggio 2010 1 10 /05 /maggio /2010 09:08

profilbildnis

"Vino che si presenta perfetto, talmente calibrato e preciso da lasciarmi convinto che la seconda etichetta sia il rosso, al momento, che meglio esprime il carattere del produttore!"
Questo è il commento che ho letto sabato pomeriggio in una recensione on-line su di un grande vino Toscano.... e i casi sono due: o il produttore ha carattere fallace ed imperfetto oppure (sicuramente) la frase "che meglio esprime il carattere del produttore" è una della tante (troppe) figure retoriche che i degustatori utilizzano, alla fine comunque il refrain è sempre quello: vino troppo perfetto per piacermi!
Ed anche qui i casi sono due: o c'è un infelice utilizzo del lessico Italiano, il quale è talmente vasto, ricco e complesso che fatico a comprendere il perchè di certi errori, oppure si esprime una castroneria bella è buona: è impossibile che qualcosa di perfetto non possa piacere in modo oggettivo, può non piacere, in modo soggettivo, a condizione che tu sia anormale!
Telefonassi ora a colui che ha recensito il vino di cui accenno sopra mi sentieri rispondere "Alessandro, ma io non intendevo dire 'troppo perfetto', intendevo vino che non ha identità, anima, che comunica poco....", bene (anzi, perfetto!) allora ho ragione io: c'è un cattivo utilizzo della lingua italiana, infatti una cosa è l'essere perfetto ed altra cosa è avere perfezione ma non esprimere emozioni: ma una cosa non significa necessariamente l'altra!
Ci sono dei quadri di pittori minori che sono tecnicamente perfetti, delle fotografie da quanto sono privi di difetti, tecnicamente perfetti ma che non comunicano nulla, e così può essere un vino, mentre ci sono dei quadri perfetti che comunicano l'universo, e così può essere per  il vino.
In vita mia ho bevuto tanti vini perfetti, anzi perfettissimi (perdonatemi l'iperbole) ma ciò non significa che non comunicassero emozioni, anzi tutt'altro: Romanèe-Conti del 1964 e Vega Sicilia Unico del 1974, due vini che ho avuto occasione di bere e che oltre ad essere perfetti erano più emozionanti di una poesia di Nazim Hikmet letta da un'emula di Eleonora Duse!
Ammetto di aver bevuto anche dei vini perfetti ma che nulla comunicavano: buona parte dei Bordeaux post 2000, ma di certo non li sputo perchè privi di anima (agli iscritti del Circolo ricordo la dispendiosa serata sui Bordeaux svolta un paio di anni fa: una quasi catastrofe) mentre spesso trovo vini con tanta anima, ma la cui volatile mi costringe all'eiezione.... 
Quindi emozione e perfezione posso andare di pari passo (e spessissimo ci vanno) per contro molto spesso (non sempre, ma spesso) un difetto non comunica emozione, è solo un modo stupido e privo di logica per coprire i limiti del vino e/o del viticoltore: la fiaba "I vestiti nuovi dell'Imperatore" (o fiaba del Re nudo) di H.C. Andersen è lettura consigliata a chi si ostina in tale associazione.
 
AC
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3 maggio 2010 1 03 /05 /maggio /2010 12:10

oss

Voi che leggete sapete cos'è l'apparecchi ritratto nella foto qui accanto?
E' un microossigenatore, strumento divenuto popolare e noto anche ai non tecnici ed ai meno esperti di vino grazie al film MondoVino: stupenda la scena in cui Michel Rolland, in una visita di consulenza (?) presso una cantina, continuava a ripetere ai due servili cantinieri "ossigenare, ossigenare..." con la sicumera ed il piglio di un chirurgo che chiede l'ago per suturare o il bisturi per recidere!
Bene di questi apparecchietti ne sono pieni le cantine, special modo quelle che producono vini rossi che necessiterebbero di lunghi invecchiamenti: ve ne sono ben più di quello che mai avrei immaginato, e me ne sono reso conto proprio negli ultimi otto mesi avendo intensificato le mie visite a nuove cantine.
Nulla di male, sia chiaro: è tecnologia e se uno vuole utilizzarla non vi trovo nulla di scandaloso, mi spiace solo questo voler negare l'uso nei propri vini ("sa, il mio collega nel vino fa di tutto, io invece...") 
Io quando vedo l'apparecchio lo indico e chiedo sempre, all'enologo oppure alla persona che mi accompagna in visita, come e quanto lo utilizzano... curiose le risposte: si va dal sincero "macchina fantastica e che usiamo assiduamente" oppure ad un "lo usiamo parzialmente e solo su certi tagli" sino al più bugiardo, "apparecchio ottimo ma che usiamo solo su partite di vino ottenuto da uve non molto sane" (magari poco prima ti avevano detto "vendemmiamo solo uve per-fet-te!") per arrivare all'assurdo del "macchina che abbiamo comprato su pressione di un nostro consulente ma che non abbiamo mai utilizzato..." (spendiamo e spandiamo?)
Mi mancano un po' di frasi che premierei con una vigorosa stretta di mano, tipo che è stato acquistato per abbellire la cantina, oppure che non lo utilizzano per i vini, bensì per aiutare la nonna asmatica, ma sono certo che un giorno, magtari insistendo.... 
Adesso che sapete cos'è fate la mia stessa domanda, e se vi giunge qualche giustificazione curiosa fatemela sapere!
 
AC
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29 aprile 2010 4 29 /04 /aprile /2010 12:11

LA RESA DEI CONTI ItalianOvvero, può (deve) la natura sempre sottostare alla legge di una bilancia?

Sono certo che tantissime persone tra i lettori di questo blog seguano con attenzione Vino, il blogautore di Repubblica - L'Espresso curato da Ernesto Gentili e Fabio Rizzari: degustatori che non abbisognano certo della mia presentazione nonchè realizzatori di un blog il cui spessore degli argomenti va di pari passo con la piacevolezza dello scritto.

L'altro giorno è apparso un interessantissimo post dal titolo Esame di maturità (leggetelo prima di continuare questo mio post) in cui i due affrontano l'errato convincimento per il quale alcune metodologie produttive sono viste come passaggi irrinunciabili per produrre vini di altissima qualità: la densità d'impianto, l'uso della barrique, le fermentazioni prolungata, ecc. ecc.
Articolo che non fa grinze in nessun punto e che come sempre (o quasi) merita un bel plauso.
Nel mio piccolissimo mi permetto di aggiungere un'ultimo punto curiosamente non affrontato, e questo si, ahimè, visto come dogma irrinunciabile per la qualità assoluta: la resa per ettaro!
Sia chiara una cosa: la qualità finale di un vino passa obbligatoriamente per le basse rese in vigneto, ma questa, applicata pedissequamente in ogni annata, è sempre fautrice di grandi risultati?
Lo smodato, eccessivo e non naturale grado alcolico che ci ritroviamo nei vini d'oggi è sempre colpa dell'aver voluto inseguire la maturità polifenolica, del clima che cambia e dell'uso di prodotti (concimi fogliari ad esempio) che mutano le reazione della vite oppure è anche colpa dell'applicazione ferrea di rese eccessivamente contenute?
Negli ultimi mesi ho visitato alcune zone dove il grado alcolico dei vini prodotti si è innalzato di molto rispetto a vent'anni fa: Barolo, Barbaresco, Montalcino, Chianti, ecc. ovunque ho assaggiato vini che, confrontati con i loro progenitori da me custoditi in cantina, rivelavano 1,0 - 1,5 - 2,0 o addirittura 2,5 gradi alcolici in più!
In tutte le cantine visitate, alla oramai ripetitiva domanda del perchè di tanto alcool rispetto ad una volta, la risposta era sempre la stessa: una volta le rese no erano ferree, si sforava un po'... 
Mi chiedo allora se non sarebbe il caso di affrontare con serietà la possibilità di essere più elastici su questo dogma di produzione visto da molti come incontestabile, con fermezza maggiore di quella che pone il Vaticano per difendere esistenza della Santa Trinità!
Siamo certi che gli 80 quintali per ettaro di Montalcino, se rivisti in eccesso del 5% e portati a 84 anziché darmi meno qualità non mi diano invece quel po' di diluizione degli zuccheri che si tramuta in minor tenore alcolico e quell'aumento di acidità che mi renderebbe più gioiosa la beva?
Non mi si venga a parlare di "tenuta nel tempo": ieri sera un Brunello Fattoria dei Barbi del 1967, a 13 gradi, era perfetto, ed il Barolo 1947, di pari gradazione di Marchesi di Barolo che molti amici hanno assaggiato non è certo "figlio decaduto per colpa del tempo", anzi tutt'altro.
Ripeto la mia provocazione: la resa per ettaro al ribasso, è sempre un must oppure si potrebbe ragionarci sopra?
Se qualcuno volesse darmi il proprio parere ne sarei lieto.
 
AC
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23 marzo 2010 2 23 /03 /marzo /2010 10:20
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Mi trovo, pur essendo io persona che predilige il confronto (anche) tecnico rispetto a quello puramente (o meglio, esclusivamente) emozionale, nel prendere le distanze da certi eccessi che in questi giorni rimbalzano sul WEB.
Chi naviga con un minimo di curiosità nei blog e nei forum dove si scrive e si discute di vino avrà trovato la notizia con la quale ci viene comunicato come un gruppo di studiosi Australiani, dell'università di Adelaide, abbia  scoperto un sistema "infallibile" per datare, e quindi risalire all'esatta annata, una bottiglia di vino!
Per chi non avesse letto tale notizia la potete leggere qui (e vi invito a farlo qui, per comprendere meglio questo post) ma riassumendo in breve posso dirvi che si tratta di una valutazione condotta attraverso gli isotopi radioattivi, rilasciati nel corso dagli esperimenti atomici realizzati negli anni '50, e che le viti (quindi l'uva ed il vino) hanno assorbito e che adesso fungono da "marcatori".
Grande can-can specie nel mondo nord americano dove la cosa è vista come rivoluzionaria.... visto che questa scoperta potrebbe mettere la parola stop agli "allungamenti" con vini di annate minori per "moltiplicare" le bottiglie delle annate top! 
La prima frase che mi è sovvenuta leggendo tale notizia (pur se volgare posso riferirla visto che la Cassazione l'ha ritenuta, in una recente sentenza, frase abituale) è stata "che palle", poi, rileggendo bene il tutto ho moltiplicato tale epiteto all'infinito....
Innanzitutto la fantastica scoperta ci permette di datare tutto il vino dal 1950 ad oggi.... ed il precedente?
Il fantastico Barolo del 1947 potrebbe essere quindi un abbaglio?
Lo strepitoso Brunello del 1928 una truffa?
E che dire di quel Rioja del 1909 offerto da Giovanni? Falso o imbroglio pure quello? Diamine che brutto pensiero.... 
E dal lato pratico cosa significa?
Che avremmo la certezza che lo Chateau Lafite Rothschild del 1982 venduto per 28mila euro sia realmente un 1982? Ma non lo dichiarava già il produttore?
Come dite? Che fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio...?
Ma allora a che serve tutto ciò? Se viviamo in un mondo dove non ci si fida neanche più della parola del produttore riguardo al millesimo figuratevi se possiamo fidarci di tutto il resto: provenienza delle uve, reali rese in vigna, metodo di vinificazione, ecc. ecc...
"Ma forse la bottiglia è venduta da privato a privato, il produttore non centra..." allora il discorso cambia: se sei possessore di un Lafite del 1982 e te ne privi per denaro anzichè berlo sei un avido commerciante, non un appassionato!
Mentre, se sei persona che spende 28mila euro per una bottiglia di vino acquistata da un commerciante di cui non ti fidi, sei uno che guadagna troppi soldi (con poca fatica) oppure un'esibizionista.
Comunque se devo vivere in un mondo dove la parola di un Uomo non ha più valore, ed ogni bottiglia deve essere accompagnata da un certificato d'analisi preferisco dire "fermatevi, scendo!
 
AC
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22 marzo 2010 1 22 /03 /marzo /2010 08:49
carrefourmidabile-volantino

A pensar male, certe volte, si fa bene… e qualcuno potrebbe dire che il post di venerdì (questo) non fosse altro che un cattivo pensiero, magari un po’ acido nei confronti della Distribuzione Organizzata (GDO) oppure nell’interpretazione di quanto asserito dal dottor Bruci, invece, come vedrete, non era un cattivo pensiero: è solo la brutta  realtà!

La GDO (la quale, sia chiaro, fa solo il proprio mestiere, non le addosso nessuna “colpa”) insegue i vini a denominazione perché "la qualità premia"? Ma premia chi?

Il viticoltore?

Direi di no, premia solo le loro casse, visto che i prezzi al pubblico finale sono sinonimo di vendite, per le aziende fornitrici, al limite dell’utile zero quando non addirittura sotto costo: può infatti una bottiglia di vino IGT o DOC, confezionato in bottiglia di vetro, con il lavoro del viticoltore (acquisto del terreno,lavorazione dello stesso,  piantumazioni delle viti e coltivazione, potature, legature, concimazioni, trattamenti, vendemmia, ecc), dell’azienda che ha vinificato ed imbottigliato (ricordate il costo costruzione cantina, acquisti macchinario, costi energetici, ecc) sostenendo i costi di trasporto, distribuzione, analisi, pubblicità e tasse, nonché un minimo di guadagno costare meno di un cappuccino e di un croissant presi al banco bar di un qualsiasi esercizio commerciale?

Credo di no, anzi assolutamente no: è già tanto se costasse meno un vino da tavola, magari in Tetrapak… eppure….

Sabato pomeriggio mi sono preso mezz’ora di curiosità: ho acceso il PC e sono andato a guardare un po’ di siti della GDO, in tutti è oramai presente il catalogo vendita di cosa si può acquistare, ed in più ho guardato un po’ di quegli insopportabili depliant che stivano la cassetta della posta e che solitamente getto senza mai leggere….

Questo quello che o trovato: premesso un Barbaresco DOCG in vendita alla Esselunga ad euro 7,49 al pubblico (detraete il 20% di Iva ed arrivate ad euro 5,99… può essere il prezzo di un Barbaresco?) i prezzi riscontarti per vini DOC o IGT sono stati i seguenti, tutti sotto il costo di un cappuccino fatto in trenta secondi e di un croissant industriale surgelato semplicemente riscaldato:

Offerte rilevate sabato 20 marzo 2010! (e ricordate che c'è il 20% di Iva da sottrarre!)

- Supermercati PAM: Sirah IGT Sicilia euro 1,00 a bottiglia! Quattro Grave del Friuli DOC, indifferente scelta (Friulano, Cabernet Sauvignon, Merlot, Refosco) euro 2,00 a bottiglia, magnum da 1,5 litri di Lambrusco DOC di Modena ad euro 2,00 (pari a 1,33 al litro).

- S. SMA: Montepulciano d’Abruzzo DOC euro 1,18 a bottiglia

- S. Despar: Cabernet o Pinot Bianco delle Venezie IGT euro 1,79 a bottiglia.  

- S. Crai: Cabernet Piave DOC euro 1,94 a bottiglia.

- S. DOK: Castel del Monte DOC euro 1,69 a bottiglia.

- S. Auchan: Barbera Piemonte DOC euro 1,39 a bottiglia; Castel del Monte DOC, magnum da 1,5 lt euro 2,39 (pari a 1,59 al litro); Primitivo del Salento IGT, dama da 5 litri euro 5,19 (pari a euro 1,04 al litro)

- S. Il Gigante, Bonarda DOC euro 1,99 a bottiglia

- S. Tigros, Nero d’Avola IGT euro 1,15 a bottiglia; Trebbiano e Sangiovese DOC a euro 1,15 a bottiglia; Bonarda ad euro 1,49 a bottiglia

 

Come vede dottor Bruci era meglio se si stava tutti zitti sul sondaggio promosso da Vinitaly/VeronaFiere: a volte il silenzio è d’oro!

AC

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17 marzo 2010 3 17 /03 /marzo /2010 02:05
hourglass1
Faccio mio il bellissimo quesito posto, nei commenti inerenti la serata di venerdì, da Renato Carlassara, ovvero quale deve essere la corretta valutazione di un vino molto vecchio: si devono infatti considerare i medesimi parametri di giudizio di un vino giovane, basati sull’equilibrio e la piacevolezza di beva, o si deve necessariamente tenere conto di altro?
Per vino molto vecchio non si deve intendere un vino di dieci, quindici o vent'anni, quello dovrebbe essere, ovviamente non per tutti ma per alcuni grandi vini, il normale periodo di evoluzione (basti pensare ad un Vega Sicilia Unico che non esce dall'azienda prima dei dieci anni) bensì a quei vini che sono oltre la soglia di invecchiamento propria di quella tipologia..
L'esempio più lampante potrebbe essere proprio il Barolo bevuto l'altra sera al Circolo: un 1958, ovvero 52 anni fa, periodo che anche per un ottimo Barolo è di almeno un decennio oltre la media capacità di invecchiamento. Bene, valutereste il vino con lo stesso parametro di un Barolo del 1997 oppure già il fatto che il vino abbia ancora una minima bevibilità è sufficiente per farci ritenere la degustazione come positiva? 
E qual è il confine corretto tra il piacere avuto perché il vino risulta bevibile e quello dell'aver perso ogni prerogativa organolettica propria della tipologia cui appartiene?
Mi piacerebbe molto ricevere un commento dalle tante persone abituate a stappare bottiglie vetuste, e perche no, anche il commento di chi ritiene sciocco portare un vino oltre la soglia di quello che dovrebbe essere il suo normale periodo di consumo.
Attendo Vostri pareri.
 
AC 
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5 marzo 2010 5 05 /03 /marzo /2010 15:38
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Delusione, questo è il sentimento provato mercoledì sera nel momento in cui dovevo parlar del vino scelto per l'abbinamento con lo Stilton (per le persone che non lo conoscono lo Stilton è un formaggio erborinato prodotto nelle regioni Inglesi del Derbyshire, Leicestershire e Nottinghamshire), nel corso della cena di cui ho scritto nel post di ieri.
La scelta per tale formaggio era caduta su di un Prosecco Passito, vino sconosciuto al di fuori dei confini della marca Trevigiana, ma che vanta in loco una tradizione indiscussa: sino a pochi decenni fa, al massimo nell'immediato dopoguerra, era vanto personale di ogni viticoltore produrre il miglior passito del paese, magari da offrire al reverendo per officiare l'eucarestia e la transubstantiatio del vino in sangue di Cristo.
Addirittura un competente enologo di Valdobbiadene mi spiegava come, quasi certamente, lo stesso nome della famosa sottozona del Cartizze deriverebbe dalla  trasformazione del termine Gardiz, il nome locale dei graticci su cui si pongono ad appassire le uve, visto che era zona eletta dove coltivare le uve per produrre tale vino.
Bene, la mia felicità nel proporre un corretto abbinamento a mezzo di un vino quasi sconosciuto ai più si è subito trasformato in delusione quando l'amico Marco mi fece notare come il Prosecco Passito non solo rientri nella DOC (ne tantomeno nella futura DOCG), e pertanto sia un vino privo di ogni riconoscimento, ma addirittura non sia tutelato e/o considerato come prodotto caratteristico di zona.  
Un disciplinare deve tutelare anche la tradizione (il che non significa obbligo di produrre) non osteggiarla, invece...
Ma la delusione momentanea si è presto trasformata in rabbia quando, parlando assieme a dei produttori locali al termine della cena, ci siamo accorti di come il disciplinare (che potete leggere qui) della tanto decantata DOCG di prossima attuazione (anzi, ieri c'è stata la presentazione ufficiale) sia in realtà un agglomerato di regole atto a stabilire un'uniformità tra i vari produttori e non un regolamento per la tutela e la valorizzazione dei vini che da sempre hanno fatto la storia del prosecco di Valdobbiadene.
Il Prosecco passito non vi compare, quasi fosse un vino mai prodotto in loco, mentre il Prosecco col Fondo, vino da cui è scaturita la fortuna della zona e che a mio modesto parere (ma non solo mio, anche a detta di alcuni tra i più autorevoli giornalisti ed esperti del settore) e "l'anima" del Prosecco viene appena nominato e gli si concede (sic, doppio sic, triplo sic!) la "presenza di velatura..." Se Valdobbiadene fosse in Francia avrebbero glorificato il "Prosecco col Fondo" come prodotto unico ed esclusivo, donandogli le stimmate di Metodo Ancestrale per antonomasia, conferendogli la capacità di esprimere il territorio in modo tale che meriterebbe un disciplinare per conto suo! 
Invece, per contro, il disciplinare del Prosecco DOCG sta bene attento nel vietare la chiusura con il tappo corona, usato praticamente da tutti gli abitanti di zona, e da molte ditte, per imbottigliare tale vino: si consente solo la chiusa con tappo in sughero, a raso oppure a fungo, perché (lo sappiamo tutti) è meglio vendere un vino slavato ed inconcludente, puro frutto di lieviti ed autoclave, ma presentato con il tappo bello e la bottiglia della Confraternita piuttosto che del Prosecco autentico ma chiuso con un svilente (per noi Italiani: all'estero lo glorificano) tappo corona.
Siamo in Italia: qui conta solo l'apparenza
Che schifo!

AC
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